QUANDO UN FIGLIO NON ARRIVA: IL SOSTEGNO PSICOLOGICO NELL’INFERTILITA’

“L’infertilità è una rottura nella continuità della vita. E’, soprattutto, una ferita al mio corpo, alla mia anima, alla mia psiche. Il dolore è intenso…” (Jorgensen, 1982)

Questa definizione dell’infertilità sembra riassumere il significato e l’impatto che tale condizione genera nella vita di quelle coppie che si trovano a confrontarsi con la difficoltà ad avere figli.

Una coppia che dopo un anno di rapporti regolari e non protetti non riesce a concepire è in genere considerata infertile. Secondo i criteri della Organizzazione Mondiale della Sanità, una percentuale di coppie riesce ad avere un figlio dopo due anni di tentativi, per cui molti preferiscono parlare di infertilità dopo 24 mesi. Se una coppia ha già avuto figli ma non riesce ad averne altri, si dice affetta da infertilità secondaria. 

Complessivamente, l’infertilità riguarda circa il 15% delle coppie.

Le cause dell’infertilità sono numerose e di diversa natura. Per alcune di esse, le più diffuse, si può intervenire con diagnosi tempestive, cure farmacologiche e terapie specifiche, ma anche e, soprattutto, attraverso un’adeguata prevenzione e informazione, per altre, è necessario ricorrere alla procreazione medicalmente assistita. 

Antonella Macchiusi, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, che da oltre trenta anni segue nel suo studio di Roma coppie che desiderano avere figli: “Quando una coppia decide di avere un figlio è spesso troppo tardi. Il periodo più fertile per una donna è quello tra i 20 e i 25 anni, resta sufficientemente alto fino ai 35, subisce un importante calo dai 35 ai 40, diviene basso oltre i 40. Con l’avanzare dell’età, infatti, invecchiano i gameti femminili e aumenta il rischio di malattie connesse all’infertilità-sterilità. Si tratta spesso di malattie comuni tra cui le malattie infiammatorie pelviche, le patologie tubariche, l’endometriosi e lo sviluppo di fibromi uterini. In passato si riteneva che le cause di infertilità fossero in netta prevalenza riferibili alle donne. Recenti ricerche hanno smentito questo trend e hanno attestato come vi sia un equo bilanciamento di incidenza dell’infertilità fra soggetti maschili e femminili. I fattori da valutare nelle ipotesi di infertilità maschile possono riguardare sia lo stile di vita (stress, consumo di alcool o sostanze stupefacenti), sia patologie che alterano la normale funzionalità testicolare o incidono sulla produzione spermatica. Quando alla base è stata esclusa una possibile causa organica, l’infertilità innesca, nella coppia, una situazione di stallo che si manifesta su due livelli diversi, intrapsichico con vissuti depressivi e di negazione, e relazionale colpevolizzando l’altro oppure vivendolo in modo insufficiente e conflittuale.”

Le linee guida dell’ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embriology) hanno stabilito che i pazienti infertili debbano essere seguiti anche da un punto di vista psicologico.

Le risposte emotive alla infertilità all’interno della coppia sono diverse: dal senso di frustrazione e impotenza alla depressione, alla rabbia fino all’isolamento. Gli uomini tendono a sopprimere e/o negare ogni reazione emozionale, mentre le donne sono inclini a credere di essere loro stesse la causa dell’infertilità, con conseguente senso di colpa e depressione.

Le problematiche psichiche sono antecedenti o si sviluppano in seguito alla diagnosi di infertilità? La risposta ovviamente non è univoca.

La prima ipotesi vede l’infertilità come un problema psicosomatico e le ricerche si orientano sugli effetti degli aspetti affettivi (stress, stati emotivi mal regolati…) sull’attività endocrina. La seconda sostiene invece che lo stress sia conseguenza della condizione di infertilità: in questo caso, gli studi sono orientati a osservare la reazione emotiva della coppia durante la fase della diagnosi, l’eventuale trattamento medico e infine durante il post-trattamento, quale che sia l’esito.

La consulenza, da un punto di vista psicologico, nel trattamento dell’infertilità può incentrarsi su:

• Riflessione sui problemi individuali e storia familiare;

• L’accettazione della situazione;

• Il significato e l’impatto dell’infertilità;

• Lavorare su vie alternative e sull’auto-fiducia per il futuro;

• Lo sviluppo di strategie di sostegno;

• Soluzione di problemi e conflitti riguardanti la sessualità, la coppia e altri problemi interpersonali.

Gli obiettivi della consulenza con pazienti che soffrono di forte stress saranno quelli di consentire l’espressione delle emozioni, identificare le cause dello stress e intervenire per gestirlo e minimizzarlo: il paziente deve sentirsi compreso e più capace di affrontare le sfide che l’infertilità e i suoi potenziali trattamenti comportano.

Il più delle volte, è una combinazione di più fattori a rendere lo stress così opprimente: psicopatologie pre-esistenti, vedere la maternità o paternità come scopo principale della propria vita, una relazione di coppia impoverita, situazioni sociali che ricordano alla coppia la propria condizione, etc.

L’obbiettivo della consulenza psicologica sarà quello di esplorare le ripercussioni emotive dell’infertilità ed i propri atteggiamenti verso la gravidanza, la nascita di un figlio e la genitorialità, alleviare l’isolamento spesso associato con l’infertilità, fornire un sostegno emotivo, ridurre i livelli di stress e di ansia, aumentare la stima di sé.

In momenti come questi, che necessitano di una particolare sensibilità nella cura, la collaborazione tra psicologia e ginecologia diventa quindi necessaria e indispensabile: in un modello biopsicosociale non ha senso quindi pensare a situazioni di infertilità esclusivamente “psicogene” contrapposte ad altre esclusivamente organiche. Ha piuttosto senso pensare che il rapporto della persona con se stessa e con il mondo possa influenzare in ogni caso la fertilità, anche quando sono riscontrabili ostacoli fisici concreti (Solano, 2017).

Solamente in questo modo si può aiutare la coppia ad affrontare ed esplorare gli aspetti emozionali più profondi, a confrontarsi sul desiderio di avere un figlio e sul significato della potenziale frustrazione di tale desiderio.

Bibliografia

“Linee Guida per La Consulenza nell’Infertilità” – ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embriology), Ottobre 2004

In-fertilità Un approccio multidisciplinare – Atti del I Convegno nazionale Roma, 5-6 maggio 2017

Glossario delle relazioni sentimentali (disfunzionali) ai tempi dei Social Network

La sempre più ampia diffusione delle nuove tecnologie ha modificato anche il modo di vivere le relazioni: sono cambiate le modalità con cui si entra in intimità con l’altro e i social rappresentano il luogo ideale per flirtare, comunicare e conoscere nuove persone.

Se la possibilità di incontrare nuovi partner ora è a portata di clic, questa si accompagna a una crescente incapacità a entrare davvero in relazione: le nuove frontiere delle relazioni 2.0 vanno dagli ormai noti ghosting e orbiting, al submarineing e allo zombieing, fino allo stashing. Termini in inglese che definiscono fenomeni diffusi soprattutto tra i millennials, e non solo, sui social network.

Il più noto è certamente il ghosting. Il termine definisce il comportamento adottato da molti alla fine di una relazione amorosa che consiste nel mettere fine ad un rapporto interrompendo tutti i contatti ed ignorando i tentativi di comunicazione del partner: non rispondere più sui social, a telefonate e messaggi. La parola ghost significa infatti fantasma.

L’esempio più tipico del ghostman è quello di colui che, dopo aver conquistato e frequentato brevemente un partner facendogli credere di essere la persona più importante della sua vita, all’improvviso scompare cancellando quest’ultimo non solo dalla sua vita ma anche da tutti i canali social, bloccandolo sulle chat. La modalità relazionale adottata è sempre la stessa: “ti corteggio, ti seduco, ti conquisto e scompaio.”

Legato a questo tipo di comportamento c’è l’orbiting, dal verbo orbit che significa orbitare intorno a qualcosa senza mai avvicinarsi chiaramente. Questa parola si riferisce infatti all’orbitare di una persona intorno ad un’altra dopo essere sparita dalla sua vita. Si mette in pratica ad esempio mettendo un like, cioè un mi piace su Facebook, cuori su Instagram, visualizzando le storie, dedicando canzoni o post nostalgici senza continuità e senza impegno.

Simili ma non uguali sono il submarineing e lo zombieing.

I due termini descrivono il comportamento di chi, dopo un ghosting durato per molto tempo, magari per mesi, all’improvviso ricompare. La parola submarine vuol dire sottomarino. Chi segue la “tecnica” del submarineing riemerge dalle acque senza sentire il bisogno di fornire alcuna spiegazione. Un classico è quello di ritrovarsi sullo schermo del telefonino un semplice “Hey, ciao! Come va?”. 

Lo zombie invece ritorna dalla valle dei morti viventi nella speranza di riallacciare e riprendere i rapporti giustificando in qualche modo la sua sparizione perché ai tempi non era pronto per una relazione, oppure aveva ancora in testa l’ex, o forse aveva troppi impegni di lavoro.

Ci sono rapporti dove non si oltrepassa la fase “chat” e non ci si incontra mai dal vivo. Sono le relazioni-via-messaggio, textlationship, dove tutto resta confinato dietro lo schermo di uno smartphone o di un pc. Possono essere relazioni durature e comprendere anche il sesso a distanza, ma restano rigorosamente virtuali. Offrono svago, emozioni e conferme e sono allettanti perché non intaccano la libertà personale e non richiedono un impegno costante.

I “narcisi” dei social praticano il “benching”. Il termine deriva dalla parola inglese bench e ha il significato metaforico di “lasciare qualcuno in panchina”. L’obiettivo di chi lo mette in pratica è semplice: approfittarsi di una persona con la quale non si desidera avere una relazione seria continuando però a mantenerne vivo l’interesse nei propri confronti. I “benchers” vogliono che si continui ad amare solo loro, in una spirale di egocentrismo senza fine.

Al benching in genere si affianca il breadcrumbing. Il termine deriva dalla parola breadcrumb, che significa briciola di pane. Il breadcrumber non ha alcuna intenzione di iniziare una relazione vera, né ce l’ha mai avuta. A lui piace flirtare a distanza, ama ricevere attenzioni e soprattutto ama avere qualcuno in suo pugno.

Il “cuffing”, alla lettera “ammanettamento”, si verifica quando agli inizi di una relazione sentimentale il partner si dimostra eccessivamente entusiasta ed innamorato: fedele, concentrato, pronto a qualsiasi progetto o cambiamento. Con la stessa rapidità con cui si verifica, il cuffing si scioglie in “uncuffing”, quando il partner passa dall’estrema morbosità al totale disinteresse. 

Quando invece una relazione sembra andare a gonfie vele potrebbe presentarsi lo stashing. La parola stash significa mettere da parte, ed è così che si sente la vittima di questo tipo di comportamento. Lo stashing consiste infatti nel tenere lontana dalla propria vita la persona con la quale si sta intrattenendo una relazione amorosa. Per esempio, non presentandole i propri amici, parenti e colleghi di lavoro. La relazione va bene ma viene tenuta nascosta, procurando frustrazione al partner che invece vorrebbe condividerla con il mondo intero.

Da un punto di vista psicologico come possono essere spiegati questo comportamenti?

Secondo alcuni studi tali fenomeni appartengono alla “generazione dei Millenials”, eppure questo modo di agire, o meglio di non fare, è diffuso anche tra le persone di età avanzata.

L’idea che sembra nascondersi dietro questi comportamenti, in particolare quelli legati al ghosting, pare essere un pensiero di questo tipo: “Mi rendo un fantasma così da far capire in modo indolore all’altro che l’interesse si è esaurito, senza dirglielo brutalmente in faccia”. Il non dichiarare a parole il proprio disinteresse gli permette di non scalfire l’immagine di brava persona che contempla riflessa negli occhi del partner. 

Chi fa ghosting non fa altro che rimandare le responsabilità emotive giustificandosi dietro la convinzione del “Lo faccio per il suo bene”, evitando così il peso del confronto: la fuga sembra la soluzione più rapida ed indolore.

Quando il partner sparisce nel nulla, si manifestano sentimenti di rabbia, sofferenza e impotenza: si mette in discussione non solo la relazione, ma anche se stessi e le proprie capacità di discernimento.

Come è possibile evitare questa spirale autodistruttiva?

È necessario giungere alla consapevolezza che a un certo punto bisogna smetterla di farsi domande a cui non troveremo mai una risposta perché semplicemente con alcune persone non ha funzionato e tutto questo fa parte della vita. Il partner che alimenta una relazione con messaggi o interazioni social una volta ogni tanto creando false illusioni nell’altra persona è frutto di una manipolazione pensata senza rispetto per le emozioni di chi si ha davanti.

Accettare queste verità e voltare pagina è il più grande atto d’amore che possiamo rivolgere a noi stessi. “Come gli altri mi trattano è il loro percorso. Come io reagisco è il mio.” Wayne Walter Dyer